Il gioco come “confessionale” dei bisogni reali


Da sempre sentiamo dire “non siamo più capaci di giocare” ,“dovremmo imparare dai bambini” ,“ciò che conta è la spontaneità”. 

Il gioco è un’organizzazione della predisposizione naturale all’interazione e alla ricerca del confronto, della sfida.
Il gioco è anche obiettivi e meccanica, grafica e comunicazione: può diventare a pieno titolo oggetto di un calendario di marketing a supporto di un’azione commerciale.

Lavoriamo da anni nel settore dello “stare bene” dimenticando che, aldilà di una nicchia di appassionati di tecnica e tecnicismi, la maggior parte delle persone sceglie di affidarsi ad un’organizzazione anche per trovare qualcosa di più: un sorriso, una motivazione, un’iniziativa di cui parlare una volta usciti dalla stessa.Immaginiamo due scenari di gioco costruiti e vissuti da due target opposti:


  • Donna di 55 anni iscritta ad un centro fitness di provincia che frequenta per lo più in orario mattutino: viene invitata a giocare a “Gira la ruota” dagli istruttori all’inizio delle lezioni per vincere un premio o una prova e per partecipare ha eseguito correttamente una serie di esercizi.  Di cosa parlerà questa donna una volta entrata in spogliatoio? E a casa con i figli? Ma soprattutto, cosa porterà questa donna a condividere qualcosa che le hanno fatto vivere?
Non solo la prospettiva del premio.
  • Ragazzo di 25 anni iscritto ad un centro wellness in centro che frequenta soprattutto la sera dopo le 19: viene invitato dall’istruttore di sala a farsi una foto allo specchio con un gruppo di altri utenti o a filmare l’esercizio che sa fare meglio per il contest interno che verrà pubblicato dalla palestra per 10 giorni. Cosa farà quel ragazzo non appena arrivato a casa cenando? Quando accederà al suo smartphone? Cosa lo porterà ad invitare gli amici a guardare il suo contributo?
Cambia lo scenario, non l’esito: non importa solo la prospettiva del premio.

Si è convinti che il valore del gioco sia commisurato al premio e che la partecipazione semplice debba prevedere sempre una ricompensa: non è vero e non è detto.

Ci sono giochi differenti, premi differenti, premiazioni e regole differenti. Ma c’è una dinamica comune: il senso di appartenenza scaturito dalla partecipazione ad un gioco equivale a quello della partecipazione ad un “rito”. La silenziosa serenità nell’essere parte di qualcosa di comune ad altri e l’unione invisibile del filo conduttore. Il bisogno comune a tutte le persone è quello di sentirsi “vicino” agli altri senza essere spinti ad obbligarsi ad essere “vicini”: la riduzione delle distanze è la creazione del gruppo passa tramite la socialità e la socializzazione di cui un gioco è espressione massima.

A parità di allestimenti, spazi, arredi, innovazione cosa può fare la differenza tra il Centro A ed il Centro B nel tempo? La scintilla che porta le persone a parlare del Centro A rispetto al Centro B? Il Gioco può essere una scintilla, un atteggiamento aziendale, l’olio del meccanismo di contatto ed accoglienza.

Giocare per credere!

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Sonia Mercolino - soniamercolino@wellink.it